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mercoledì 15 ottobre 2008

Il segreto di Fiabolina - di A. Dattola

Il segreto di Fiabolina
Un vento burlone, soffiando delicatamente tra i rami di un mandorlo fiorito, fece cadere una manciata di petali madreperlacei, dai quali, per il magico intervento di una fata in vena di stravaganze, nacque Fiabolina, una creatura davvero fantastica.
Dal padre, burlone, ma gentile come uno zefiro primaverile, ereditò la possibilità di sfiorare con carezze delicate chiunque le si avvicinasse e di sbriciolare la realtà in un pulviscolo di raffinata allegria; dalla madre ereditò un cuore pieno di dolcezza, che la rese amabile.
Per Fiabolina, naturalmente, era difficile adattarsi alla banalità della vita quotidiana, perché nel suo patrimonio genetico predominava la fantasia e il mondo, nel quale regnavano spesso l’egoismo, l’ invidia e la cattiveria, le faceva un po’ paura. Eppure doveva viverci e sforzarsi di dare il meglio di sé in ogni situazione, perché questo aveva promesso, un giorno, a chi le aveva donato la vita. Fiabolina era sola. Raramente suo padre la visitava dallo spiraglio di una finestra e le accarezzava la fronte senza farsi vedere, o la avvolgeva, per strada, in vorticosi mulinelli, dimostrandole la sua voglia bambina di giocare.
Sua madre vegliava su di lei, ma i suoi numerosi impegni non le consentivano di dedicare un’ intera giornata al dialogo. Questo, per Fiabolina, era un piccolo dramma, ma per fortuna riuscì presto a porvi rimedio.I suoi primi amici furono i libri e lei ne lesse tanti per cercare di scoprire un mondo che non conosceva e che non finiva mai di stupirla. Tra le tante parole, dense di significato, le capitò di leggere ,un giorno,che per gli uomini i ricordi sono molto importanti e sono, in fondo, quelli che si meritano…

Dopo aver a lungo meditato, Fiabolina decise di costruire i suoi ricordi, magari aiutata dalla fantasia. Trovò in soffitta un grande baule di legno, intarsiato, ed incominciò a sistemarli con cura. La sua pazienza certosina le permise di catalogarli:scartando quelli brutti, che tuttavia appartengono alla vita di ognuno, Fiabolina vi riponeva i sorrisi, le strette di mano, le cortesie, le recite di Natale che la facevano commuovere , le note di un’ Ave Maria, le risate, i piccoli sotterfugi e persino qualche bonaria parola di scherno…

Fiabolina custodiva gelosamente questo suo segreto, pensando di essere un po’ strana, ma, grazie alle quotidiane letture, riusciva a trovare una giustificazione autorevole alle sue inconsuete fantasie.”Non si ha una vita se non la si racconta”, sosteneva uno dei più autorevoli studiosi, che scrivevano libri “”importanti”, perciò c’era un filo logico che univa quanto lei andava facendo: il racconto, anche un po’ fantastico , della vita, il ricordo che lo immortalava, il baule…

Bene!Anche se il suo rimaneva ancora un segreto, non le appariva così fuori dall’ ordinario. Anche altri come me-pensava Fiabolina-vivono intensamente la loro vita ed hanno magari un baule più bello del mio, senz’ altro diverso….

Chissà-le balenò in testa una di quelle idee bislacche ereditate dalla madre- chissà che non sia anch’io chiusa in un vecchio baule…e un leggero rossore le colorò il viso.
A giocare con i ricordi si azzecca sempre perché, anche se di per sé non sono belli, dentro un baule, coperti dai veli trasparenti del tempo, si colorano delicatamente ed acquistano un fascino particolare. Fiabolina era felice, ogni sera, quando apriva il suo scrigno segreto e metteva ordine fra le sue cose… le sembrava di accumulare un tesoro d’ inestimabile valore e di vivere bene la sua vita, immersa nella realtà e capace di appoggiarsi alla fantasia.
Anche quando la noia della routine soffocava la sua giornata, appiattendola fino a farla diventare apparentemente senza significato, Fiabolina si ritrovava a riflettere, la sera, e c’ era sempre qualcosa di buono da sistemare dentro il baule , magari una parola buona o un gesto gentile: bastava raccontare dolcemente anche le più semplici esperienze per tramutarle in un piacevole ricordo. Passavano gli anni ed il baule era ormai pieno zeppo .Fiabolina pensava che tutto quel materiale le sarebbe servito a rendere meno pesante una vecchiaia che sentiva lontana, ma che presagiva triste e noiosa e si immaginava, sdentata e rinsavita dal tempo, vivere frugando soltanto fra i suoi ricordi. Passarono gli anni, perché il tempo vola, specialmente se lo si spende bene, e Fiabolina, figlia del vento e di una fata svagata, giunse alla senilità.
Era una vecchina simpatica, rugosa, un po’ curva, ma continuava a sorridere,nonostante le mancassero tanti denti.Ora non doveva più correre, non doveva fare la fila , pagare le tasse, lavorare….finalmente poteva starsene chiusa in casa a meditare. Non riusciva più a leggere bene, perché la vista le si era annebbiata, non sentiva più le voci della strada…Solo la tenue carezza di suo padre le sfiorava di tanto in tanto la fronte e la vigile assenza di sua madre le faceva battere forte il cuore.Fiabolina, creatura fantastica, si sedeva sulla sua poltrona ed apriva il suo baule di ricordi…quanti! L e sua mani tremanti sollevavano con reverenziale rispetto i veli del tempo e ne traevano reliquie lontane, che le restituivano la passata felicità. Un giorno, in quel suo frugare diventato ormai smanioso, le capitò fra le mani n libro. Lesse a stento il titolo”Le gioie dell’ amicizia” e lo aprì, avvertendo una strana sensazione. Ne uscì un pulviscolo dorato che, complice sua madre, la fece tornare indietro nel tempo .
Si rivide allegra e spensierata in un prato verde, con un aquilone in mano. Correva, Fiabolina, e a lei si univano tanti amici, provenienti dai luoghi più lontani, anche loro con un aquiolone in mano, chegridavano al mondo la loro gioia di vivere e guardavano in alto, verso il cielo, presi dalla voglia di volare. Poi Fiabolina si trovava al centro di quel prato irradiato dal sole, il cinguettio degli uccelli faceva da sottofondo ad un momento di gioia sincera e i suoi amici la circondavano.Il cerchio si trasformava, come per incanto, in una spirale colorata di mani, di volti, di corpi felici e Fiabolina, osservando il suo aquilone, sentiva esplodere dentro di sé le gioie dell’ amicizia. Perciò lasciava che il suo aquilone vagasse libero nel cielo e tutti i suoi amici la imitavano, conquistando la loro libertà. Poi si regalavano una risata argentina, che raggiungeva i posti più lontani. Lei non era più Fiabolina, ma tutti quelli che le stavano intorno, perché "Non è quello che io sono che conta, ma quello che noi siamo, perché solo l’ amore libera dai limiti”Anche questo pensiero era tratto da un libro letto molto temo prima…
Il magico pulviscolo dorato si disperdeva nell’ aria e il libro penzolava dalle mani di Fiabolina, che si era addormentata serenamente, accarezzata dal vento suo padre e cullata dalla madre, mentre una manciata di apetali bianchi copriva la sua poltrona..I ricordi custoditi con cura nel baule se n’ erano andati con lei, ma il libro no, quello era rimasto; era la ricca eredità di una creatura fantastica e tutti avrebbero potuto leggerlo, correggerlo e continuare a scriverlo…Fiabolina vi aveva lasciato tante pagine bianche….

Aida Dattola

Qui in terra...una storia vera

Qui in terra

Era un tardo pomeriggio di aprile, uno di quei giorni in cui la primavera ci sfiora e ci accarezza come le manine dolci e soffici di un bimbo.

Il sole ancora alto sull'orizzonte, l'aria lieve come piuma sulla pelle, e tutt'intorno il risveglio leggero e festoso dei fiori, dell'erba, degli alberi.

Benché fosse un periodo difficile, tanta era la gioia nell'aria che ne fui contagiata: passai in un negozio e comprai allegramente due paia di scarpe per me.

Me ne andavo, così, spensierata e contenta.

Fu davanti alla Upim che incontrai quella giovane donna straniera. Era ferma, pareva in attesa. Le rivolsi uno sguardo stupito e curioso: di dov'era? Pelle ambrata, capelli neri e lucenti, grandi occhi scuri, un sorriso dolce e mite. Sorrisi anch'io, passandole accanto. E lei mi fermò, con grazia discreta. “Mi scusi se mi permetto, mi vergogno molto, sa, ma ho una bambina piccola che deve mangiare, e non ho nulla. Sono uscita da poco dall'ospedale, avevo un cancro alla tiroide”.

Era struggente. Sembrava una persona distinta e parlava un italiano eccellente.

Guardai le mie scatole di scarpe: non potevo comprarne solo un paio?

Le diedi qualche euro, e intanto le andavo chiedendo di lei, di come fosse finita in Italia.

Veniva dall'India, al confine col Pakistan, dove c'era la guerra. Era dovuta fuggire. Suo padre massacrato. Lei aveva venduto tutto a precipizio e con sua mamma e la sua bambina era venuta qui da meno di un anno. Ma i soldi erano svaniti in un attimo, assorbiti dal viaggio, e per mesi avevano dovuto dormire sotto i ponti di Roma, la bambina di circa due anni, la mamma di più di settanta. Erano poi giunte all'Aquila non so più per quale avventura. Avevano un tetto, del cibo. Ma presto lei si era ammalata, ricoverata, operata. Senza lavoro.

In India era rimasto il marito e l'unico avere: la casa. Ma anche la casa era andata perduta, rasa al suolo da una bomba tremenda. Per fortuna il marito era salvo.

Lei aveva studiato in Italia, dieci anni prima, e in India insegnava. Stavano bene, prima della guerra, una famiglia unita e felice.

Poi la guerra, e in due o tre anni la distruzione totale, di tutto, di beni e di affetti.

Sentivo d'istinto che era sincera, e rimpiansi ancor più le mie spesi superflue. Le diedi altri euro e le lasciai il mio numero di telefono: non potevo fare chissà che, le dissi, ma se le difficoltà fossero state troppe poteva chiamarmi.

E dopo un mese chiamò. La aiutavo un pochino, quel tanto che lascia dignità a chi riceve e non spianta chi da.

A giugno un nuovo problema: la sua salute era in bilico e aveva bisogno dell'ospedale di Pisa. Mi chiedeva solo il biglietto del treno, ma io feci di più: le comprai due cellulari, per lei e per la mamma, che almeno potessero sentirsi, e le diedi un po' di soldi da dare a sua mamma per vivere qui mentre lei era fuori. Pian piano tutto si sarebbe aggiustato.

Partì. Cura e speranze iniziarono. Passò qualche giorno tranquillo.

Poi una domenica pomeriggio squillò il mio cellulare: sua mamma mi cercava.
Sua mamma! Non parlava italiano, non mi aveva mai vista: che poteva volere? Gelavo. Raccolsi le forze e risposi. Una voce disperata dall'altra parte: “I have a problem” - Ho un problema. Mi gelai ancor di più: “I have a problem”, la voce dall'Apollo 13, il grido disperato di chi era senza ossigeno.

In una frazione di secondo immaginai qualunque cosa, con un terrore incontrollabile.

Lei ripeteva che voleva sua figlia, che non riusciva a chiamarla e io “Ma tu stai bene, la bambina sta bene?” continuavo nel mio inglese stentato; lei non mi ascoltava, gridava soltanto il nome di sua figlia. Va bene, le dissi, la chiamo subito e ti faccio chiamare, va bene.

Intanto annottava. Finalmente si poterono sentire: la mamma era a Roma, e tranne la disperazione non si riusciva a capire che fosse successo. La figlia lasciò a precipizio l'ospedale di Pisa e prese il primo treno per Roma in piena notte.

Il giorno seguente lo seppi: la povera donna era stata portata per due giorni al mare con la bambina – come fosse un grande favore – dalla padrona di casa, e poi lasciata ad una stazione della metropolitana perché si arrangiasse da sola a tornare con l'autobus all'Aquila. Ma una rissa tra ragazzacci aveva attirato la polizia e lei senza permesso di soggiorno e senza documenti era stata arrestata insieme alla bimba che piangeva disperata e spaventata chiamando la mamma lontana. Avevano il figlio di via per rimpatrio immediato. L'indomani l'imbarco in aereo per l'India.

La figlia dovette fare un giorno di fila in Ambasciata per ottenere di vedere per pochi minuti sua mamma e la bimba e far sì che almeno viaggiassero insieme.

Poi tornò all'Aquila (chi pensava più alle cure di Pisa?) e insieme facemmo il biglietto per l'India anche per lei: una volta là, avrebbe fatto tutti i documenti regolari per tornare tutti insieme in Italia: lei, la bambina, il marito e la mamma.

Calcolammo la spesa, le diedi il necessario e partì. In un mese sarebbe tornata.

Il tempo passò. Nessuna notizia. Telefono muto. Provavo a chiamare. Niente.

Alla fine di agosto uno squillo: era lei!! Dov'era? Com'erano andate le cose?

“Sono a Lugoj”, mi disse. “Lugo di Romagna, in Italia?”, le chiesi. “No, Lugoj in Romania. La bambina è morta”. “Ma che dci, che dici?”.

La bambina era morta a Lugoj, allo scalo del viaggio di ritorno dall'India all'Italia. Fino ad allora era andato tutto a meraviglia, i soldi erano bastati, i documenti a posto. Tutto, tutto come in un sogno, un sogno vicino, un sogno di vita futura, di salute, di bene.

Poi la tragedia . Da giorni la bambina non stava più bene, dormiva e dormiva e si lagnava del sonno che aveva; però ormai era vicina l'Italia, si sarebbe trovato un dottore, si sarebbe curata se c'era qualcosa.

Ma la povera bimba aveva già troppo sofferto, le sue difese annientate non avevano retto all'urto dell'India e la prima infezione l'aveva aggredita. Meningite si pensa. Era uscita in punta di piedi da una vita appena sfiorata e già piena di stenti e spaventi. Era morta in terra straniera, e la piccola terra per il suo corpicino s'era dovuta comprare nel cimitero di Lugoj, una terra di scarto per chi ha pochi soldi, sempre piena di acqua e di fango.

Ma i dolori hanno sempre gemelli in agguato. Per la nonna della povera bimba fu uno strazio più forte di lei e in due giorni impazzì. Fu ricoverata all'ospedale di Lugoj e vi rimasi per mesi. A Natale morì. Era stata schiacciata dal senso di colpa per aver accettato l'offerta del mare e tutto ciò che ne era seguito, e il dolore di tutto fu troppo.

Di venire in Italia non s'è più parlato per la coppia rimasta, con quelle tombe a Lugoj il loro cuore era lì, e il permesso di lei era scaduto.

La salute di entrambi vacillò, ma quella di lei peggiorava ogni giorno: i suoi occhi perdevano vista, il diabete alle stelle, la pressione impazzita. E il poco salario che il marito riusciva ad avere non pagava le cure. La miseria ed il cuore spezzato per la loro bambina. Altri bimbi non potranno mai averne perché lei non può più, deprivata anche in questo dalla sorte bizzarra.

Non so se esista qualcuno su in cielo.
Non so se veda qualcuno su in cielo.
Non so se pianga qualcuno su in cielo.
O forse, su in cielo, non guarda nessuno, non piange nessuno, non vive nessuno.
E il dolore scorre asciutto qui in terra.
Non ci sono più lacrime, ne compassione.
Il cielo e la terra hanno altro da fare




30 luglio 2008
Maria Grazia Cinzio

Relazione Prof.ssa Roberta Magnante Trecco

BUONASERA A TUTTI
E GRAZIE PER ESSERE INTERVENUTI COSI' NUMEROSI ED AVERE ACCOLTO IL NOSTRO INVITO IN UN MOMENTO IN CUI LA CITTA', IN CONCOMITANZA CON LE CELEBRAZIONI CELESTINIANE, OFFRE PIU' DI UN INCONTRO.
ABBIAMO PENSATO E VOLUTO QUESTO CONVEGNO CON LO SCOPO PRECISO DI RENDERE NOTA A TUTTI I NOSTRI CONCITTADINI E NON, LA NASCITA DELLA SEDE AQUILANA DEL CENTRUM LATINITATIS EUROPAE, UN CENTRO DI RILEVANZA EUROPEA CHE SI OCCUPA ORMAI DA TEMPO DELLA SALVAGUARDIA DELLA CLASSICITA' .
PERSONALMENTE, HO AVUTO MODO DO CONOSCERE LA COORDINATRICE GENERALE, QUI PRESENTE, LA PROF.SSA LOREDANA MARANO, VICEPRESIDE DEL LICEO SCIENTIFICO "EINSTEIN" DI CERVIGNANO IN PROVINCIA DI UDINE, PUBBLICISTA E CRITICA LETTERARIA, GRAZIE AD UNA DELLE SUE PUBBLICAZIONI APPUNTO UNA GRAMMATICA DI LATINO PER I LICEI E DA LI' I NOSTRI CONTATTI SEMPRE PIU' FREQUENTI, CI HANNO GUIDATO ALL'IDEA E AL DESIDERIO DI AVERE ANCHE QUI ALL'AQUILA UNA SEDE DEL CENTRUM LATINITATIS EUROPAE.
UN GRAZIE PARTICOLARE, INOLTRE, DA PARTE MIA LE SIA DOVUTO PER IL SOSTEGNO ALLA MIA PUBBLICAZONE FLOS LATINO DA FAVOLA, LIBRO CHE AVVICINA GLI ALUNNI DI TERZA, QUARTA E QUINTA ELEMENTARE ALLO STUDIO DELLA LINGUA LATINA, DEL QUALE SI PUO' LEGGERE UNA RECENSIONE SUL SITO OMONIMO DEL CENTRUM, DA LEI CURATO IN QUALITA' DI WEBMASTER. DI COSA SI OCCUPA IL CLE NEL MONDO ORA ANCHE IN AMERICA E DI COSA SI OCCUPERA' INVECE LA NOSTRA SEDE, SARA' ESPOSTO RISPETTIVAMENTE DALLA COORDINATRICE E DALL'AVV. PAOLO ENRICO GUIDOBALDI, PRESIDENTE DELLA DELEGAZIONE ABRUZZO-MOLISE, CHE HA OSPITATO NEL SUO STUDIO IL NOSTRO PUNTO CLE. VOGLIO RINGRAZIARE, INOLTRE, IL RETTORE CANONICO DELLA BASILICA DI COLLEMAGGIO DON NUNZIO SPINELLI PER L'APPORTO DATO E PER QUANTO DI INTERESSANTE VORRA' RIFERIRCI NEL SUO INTERVENTO CIRCA LA LINGUADELLA BOLLA CELESTINIANA.
UN GRAZIE PARTICOLARE VA ALLA CORALE 99, MAGISTRALMENTE DIRETTA DAL M.° ORGANISTA ETTORE MARIA DEL ROMANO, AL SUO PRESIDENTE IL M.° NEMO CERASOLI, AL SOPRANO M.° MARIA PIA DI GIOIA E A TUTTI GLI STRUMENTISTI, CHE CI ALLIETERANNO AL TERMINE DI QUESTO INCONTRO CON IL LORO PROGRAMMA MUSICALE. GRAZIE E BUON ASCOLTO IL VICEPRESIDENTE DEL CLE DELEGAZIONE ABRUZZO-MOLISEPROF.SSA ROBERTA MAGNANTE TRECCO L'AQUILA 24 AGOSTO 2008

giovedì 4 settembre 2008

RADIO ZAMMU' - Una giovane iniziativa

Il latino lingua morta?
Neanche a parlarne...e lo dicono anche i giovani!

Una delle tante testimonianze dell'innovativo connubio tra tecnologia e classicità ci arriva dalla Sicilia, precisamente dall'Università degli Studi di Catania.
All'interno del Palinsenso di Radio Zammù, la radio dell’Università degli studi di Catania, nata dal Laboratorio "Radio sul web", nell’ambito del MediaLab della facoltà di Lingue e letterature straniere, in onda su Internet e da maggio 2007 anche su frequenza FM (101,00) su Catania e provincia, è trasmesso un radiogiornale interamente in lingua latina, dedicato alle notizie più importanti della settimana, che vengono attentamente raccolte e tradotte nella lingua degli antichi romani.
L'idea nasce da Francesco Carciotto, insegnante di Liceo che, in un viaggio in Finlandia ha conosciuto gli autori dell'unico radiotelegiornale in latino al mondo, in onda da quasi 20 anni sulla tv di stato Finlandese.
Ed ecco la presentazione in lingua del Radiogiornale:
"Nuntii Latini Italici sunt emissio radiophonica Universitatis Studiorum Catinensis. Nuntii Latini Italici semel in hebdomane eduntur die Veneris hora septima post meridiem. Horum nuntiorum auctores sunt Franciscus Carciotto, Carmelus Consoli et Iosephus Marcellinus. Locutores sunt Iosephus Marcellinus et Alexandra Iacono. Hi nuntii orti sunt sub auspiciis Circuli Latini Catinensis."
Sul sito di Radio Zammù è possibile anche scaricare ed ascoltare liberamente i file dei Nuntii Latini.

giovedì 28 agosto 2008

Convegno "Ad Fontes" - Relazione

CENTRUM LATINITATIS EUROPAE
Convegno: “Ad fontes”

L’Aquila – Sala Celestiniana – Basilica di Collemaggio
Domenica 24 agosto 2008 ore 18,30

Relazione del Presidente della Delegazione C.L.E. Abruzzo-Molise
Avv. Paolo Enrico Guidobaldi
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Vi ringrazio per aver accettato l’invito e di essere presenti così numerosi in questo caldo pomeriggio d’estate e preferire, agli svaghi della domenica, argomenti culturalmente impegnativi ed unitamente al saluti del Direttivo del CLE Abruzzo Molise aggiungo, per ognuno dei presenti, il mio personale benvenuto.

Rivolgo, inoltre, i miei più vivi e fraterni ringraziamenti al Rettore della Basilica di Collemaggio, Don Nunzio Spinelli, alla Chiarissima Prof.ssa Loredana Marano che ci ha onorato della Sua presenza, proprio nella giornata di presentazione ufficiale della nostra iniziativa e pubblicamente vorrei ringraziare la Segretaria Organizzatrice dell’evento e Vice Presidente del CLE Abruzzo Molise, la Prof.ssa Roberta Magnate Trecco, la quale, con abnegazione e sacrificio, ha reso possibile la nostra presenza in questa sede.

Saluto, inoltre, il Rettore del Convitto Nazionale di L’Aquila, Dott. Prof. Livio Bearzi, le Autorità civili e religiose presenti e, certamente, non da ultimi, il M° Luigi Guardigli, autore di incisioni di opere su commissione di artisti storicamente noti, come Picasso e Guttuso e l’Ing. Antonio Pacilè.

La Delegazione Abruzzo Molise del CLE è stata costituita solo dopo un’attenta ed accurata ricerca tentando di far coincidere la porzione di territorio assegnata alla sua giurisdizione con un’area che fosse la più omogenea possibile per popolazione residente, per storia e per cultura.

Si è cercata una metodologia che individuasse nei valori condivisi la ragione della nostra presenza e proponesse i contenuti della nostra offerta culturale non come una curiosa ed elitaria bizzarria, ma come espressione di un vissuto condiviso che, partendo dalla scoperta delle radici comuni, facesse apprezzare il valore dell’iniziativa.

Non è un caso che per il nostro incontro si sia stato scelto il titolo “Ad fontes”, in modo tale che possa essere assunto unicamente come qualificazione propositiva di un modo di essere, di appartenere, di desiderare, di condividere e ricercare.

Vogliamo comprendere il nostro passato per capire da dove veniamo e chi siamo e questo solo per tentare di contribuire alla ricerca delle identità, perchè siamo convinti che, così come riportava Cicerone nel “De oratione Lib. II, 9, 35”, “Historia est magistra vitae” ovvero: "Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis" (La storia infatti è testimone del tempo, luce di verità, maestra di vita, messaggera del passato).

Non dimentichiamo che siamo il risultato della grande tradizione giudeo – cristiana [1] che ha diffuso il valore di persona, di rispetto dell’essere umano ed il principio della solidarietà tra le genti e che ha permeato la società occidentale di una concezione per cui: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” [2].

Per questa ragione oggi siamo nella condizione di attingere alle fonti storiche del nostro passato e lo vorremmo fare tentando di spiegare che in noi c’è un desiderio forte, che meglio può essere compreso utilizzando la similitudine tratta dal Salmo 41 (42): “come la cerva anela all’acqua, così l’anima mia desidera te o Dio” [3].

Per tentare di raggiungere i nostri scopi associativi, abbiamo prima di tutto cercato di comprendere le caratteristiche del territorio ed abbiamo cercato di applicare le regole classiche dove – non per nostra scelta - la realtà operativa doveva coincidere con una medesima circoscrizione la più omogenea possibile.

Per far comprendere meglio tale metodologia, si ritiene sia opportuno richiamare l’attenzione sulla circostanza che attualmente la Chiesa Cattolica definisce l’interazione esistente tra popolazione e territorio come “dioecesis” [4] e la presenta usando la medesima terminologia utilizzata dall’Imperatore Diocleziano quando divise l'Impero Romano in distretti amministrativi[5].

Anche in questo caso si è scelto di ricorrere alla metodologia che richiede di attingere “ad fontes” per non dimenticare chi siamo e da dove veniamo e costruire, intorno alla Provincia Valeria (allargata dai Franchi ai territori dei Marrucini, dei Frentani e dei Piceni), una realtà condivisa.

Per tale ragione si è proposto e realizzato un progetto culturale che intervenisse su una zona delimitata a nord dal fiume Truentus (oggi meglio noto come Tronto – fiume che per secoli ha diviso gli Stati della Chiesa dal Regno di Napoli) ed a sud dal fiume Fortore.

Forse perché inconsapevolmente influenzati dai Frentani, popolazione (presumibilmente di origine illirica) che, insediatasi tra i due bacili idrografici sopra indicati, già a partire dal secondo millennio A.C, venne poi assimilata ed integrata dalla cultura italica adottandone, dieci secoli dopo, anche la lingua, tanto da essere ascritta dagli storici tra le popolazioni italiche.

È pur vero che dobbiamo rispettare le particolarità sorte successivamente e tenere conto del fatto che già Carlo I d’Angiò, divise nel 1272, quello che veniva denominato il “giustizierato d'Abruzzo” [6] in due province: ultra flumen Piscariae o Abruzzo ulteriore e citra flumen Piscariae o Abruzzo citeriore, con un unico governatore residente a Chieti.

Come spesso capita nella nostra storia, dopo l’insediamento nel 1641 dell’agognato Preside di Aquila, la provincia però venne ridotta nelle dimensioni con l’istituzione, nel 1684, di un terzo Preside a Teramo e con la conseguente e naturale divisione della provincia “ulteriore” in due parti.

Tale situazione venne in qualche modo confermata nel 1807 quando, sotto il regno di Giuseppe Bonaparte (che fu Re di Napoli dal 1806 al 1808), l’area venne giuridicamente distinta in Abruzzo ulteriore I e in ed Abruzzo ulteriore II.

Agli inizi dell'Ottocento quindi la regione era divisa nelle tre province: di Abruzzo ulteriore I, con capoluogo Teramo; Abruzzo ulteriore II, con capoluogo L'Aquila; e Abruzzo citeriore, con capoluogo Chieti.

Destino differente aveva avuto il Molise diviso come era in tre giustizierati diversi, il Contado del Molise, l'Abruzzo citeriore e la Capitanata.

Occorrerà attendere la promulgazione della Costituzione della Repubblica ( 22 dicembre 1947), per trovare nuovamente insieme le aree comprese tra i fiumi Tronto e Fortore, in modo da costituire nuovamente un’unica realtà amministrativa denominata Abruzzi.

Così come venne riunita, parimenti venne separata e, con Legge costituzionale 27 dicembre 1963, n. 3, "Modificazioni agli articoli 131 e 57 della Costituzione”, venne istituita la Regione Molise, dividendo di fatto in due un’area omogenea.

Per tale motivo si è pensato di creare la XXVI Delegazione del CLE unendo nuovamente tutti i territori originariamente conformi, per proporre un nuovo cammino che ci veda uniti per il perseguimento dei medesimi fini.

Non vorremmo, però, fermarci alle motivazione della proposta su un’area territoriale e chiudere l’offerta culturale.

L’idea di proporre la lingua latina come veicolo di comunicazione moderno e condiviso trova le ragioni, proprio nella condizione di un’Europa divisa, lacerata da una pluralità di linguaggi, incapace di trovare una sintesi che la faccia uscire dal proprio torpore e nella babele nella quale si trova.

Per secoli la lingua latina è stata lo strumento usato per comunicare, in quanto figlia ed erede di una cultura sopravissuta alla realtà politico-militare che l’aveva diffusa.

Tuttavia viviamo una strana condizione: avversiamo la lingua latina, la consideriamo retaggio anacronistico di un’era morta e quanti la propongono nuovamente sono considerati reazionari, conservatori e vetusti.

Si accusano quanti vogliono proporre nuovamente il latino come veicolo di comunicazione sociale, di essere anacronistici in quanto, ormai, l’insegnamento è di fatto sparito dalle scuole italiane ed è stato soppresso da decenni dalla liturgia cattolica.

Sicuri del loro modo di interpretare gli eventi, alcuni considerano una fortuna aver imposto nelle celebrazioni ufficiali della Chiesa Cattolica la lingua locale in quanto le vecchiette recitavano a memoria testi incomprensibili storpiandone il senso.

Eppure… eppure il legittimo Governo della civilissima e democratica Finlandia ha scelto (non proposto) la lingua latina come lingua ufficiale dell’Unione Europea [7] e dal 19 agosto 2007 il primo canale ha ripreso le trasmissioni radiofoniche in lingua latina [8] presenti nel palinsesto già a partire dal 1989.

Eppure a seguito della Lettera Apostolica data in forma di Motu Proprio ed avente il titolo di “Summorum Pontificum cura”, Sua Santità Benedetto XVI ha dettato norme sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 ripristinando la lingua latina.

Quanto sopra precede, non deve essere inteso come una polemica sterile, priva di senso e non propositiva, ma il contributo ad una riflessione tutta europea, per un continente che ha ampliato l’offerta culturale ed eliminato l’analfabetismo.

Prima di ascoltare la voce e l’interpretazione in lingua latina del “Domine Deus” di Vivaldi e del “Panis Angelicus” di Cesar Franck della Soprano Maria Pia Di Gioia, accompagnata – all’organo - dal Maestro Ettore Del Romano, dal Violinista Gaetano De Bendictis, dalla Violoncellista, Cristina Cerasuoli, e dal Coro “Novantanove” vorrei fare un’ultima riflessione.

Gli artisti testè citati eseguiranno i brani della liturgia cattolica ed utilizzeranno la lingua latina che molti danno per morta e sepolta.

Ebbene, nel mese di febbraio, entrando in una scuola di Roma mi capitò di leggere una frase scritta con un pennarello sui muri che vorrei in parte riutilizzare: “la lingua latina è così tanto avanti a noi che, volgendosi indietro, riesce a vedere il nostro futuro”.

Vi ringrazio ancora per essere presenti così numerosi.
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[1] Cfr. Andrea Pamparana, Benedetto. Padre di molti popoli, Ed. Ancora
[2] Vangelo di San Giovanni (Gv 8, 32).
[3] “Quemadmodum desiderat ceruus ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te Deus” Psal. 41
[4] Concilio Vaticano II, Decreto “Christus Dominus” n. 11
[5] Jorge Ortega, Dentro la storia degli uomini, in: http://web.tiscali.it/INDACO/Ist_parr.htm Diocleziano divise l’impero in prefetture, diocesi e province.
[6] Termine con il quale veniva denominato un distretto amministrativo in periodo svevo ed angioino. Nel 1233, con capoluogo a Sulmona, venne istituito il Justitiaratus Aprutii. Con il Regno di Napoli ed il Regno delle Due Sicilie si preferì usare il termine di provincia.
[7] Testa giornalistica “La Gente d’Italia” Anno VII, Lunedi 3 Luglio- 2006
[8] http://www.italradio.org/portale/index.php?name=News&file=article&sid=945

lunedì 18 agosto 2008

Convegno "Ad Fontes"


E' previsto per il 24 agosto p.v. a partire dalle ore 18.30, a L'Aquila, presso la Sala Celestiniana, il Convegno "Ad Fontes" organizzato dalla Delegazione Abruzzo - Molise del Centrum Latinitatis Europae.


Al termine del Convegno la Corale Novantanove, diretta dal M° Ettore Maria Del Romano, eseguirà un concerto intitolato anch'esso "Ad Fontes"


venerdì 8 agosto 2008

Il latino per i più piccoli

Si può insegnare latino nella scuola primaria?
E' facile imparare il latino a 8-9 anni?


Questa la domanda che si è posta la Professoressa Roberta Magnante Trecco mentre si accingeva a scrivere il suo "Flos". E la risposta non poteva essere altro che...

SI!

L'autrice ha ideato una serie di racconti molto piacevoli ed interessanti per bambini della terza, quarta, quinta classe della scuola primaria. Protagonista è la Roma dei romani antichi, in cui vivono, si muovono, parlano bambini, famiglie, fiori, animali, dei e dee, oggetti che si animano: un mondo da favola che diventa una speciale porta d’accesso all’antico, un modo gradevole di apprendere famiglie di parole latine ed elementi grammaticali.

Il libro è diviso in tre sezioni, ognuna delle quali sviluppa tre unità, una dedicata ad elementi grammaticali, una ad elementi culturali, una alla mitologia. Ad ogni unità corrisponde un racconto.
Al termine di ogni storiella sono proposti esercizi di richiamo sotto forma di giochi sempre diversi, che spingono i bambini ad una partecipazione attiva perché viene chiesto loro non di ripetere, ma di riconoscere, trovare, mettere insieme, aggiungere, confrontare.

La piacevolezza del testo sta nella ricchezza e nella varietà delle situazioni, che sono in magnifico equilibrio fra presente e passato.
Una precoce dimestichezza con aspetti della cultura romana non può che facilitare l’acquisizione della dimensione del passato, oltre che l’acquisizione di termini e strutture latine. Flos è un libro da leggere non solo a scuola, ma anche a casa, perchè insegna ad essere curiosi, ad amare il sapere, oltre a veicolare anche altri valori molto importanti.
Recensione a cura della Prof.ssa Loredana Marano
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Flos - Latino da Favola
ED. INTERBOOKS 2006 €15,00
http://www.latinodafavola.it/